Il matrimonio di Daniela (parte seconda)

Un raggio di sole indicava la via d’uscita. Aveva aperto la porta e finalmente aveva respirato l’aria calda e afosa. Tutta l’angoscia provata non era rimasta dentro, ma l’aveva seguita fuori. A silvia non importava. Una volta fuori poteva sentirsi libera di provare certi sentimenti senza vergognarsi. Avrebbe atteso lì la fine della cerimonia. Qualche minuto dopo la donna che le sedeva accanto era uscita; aveva percorso pochi metri con passo deciso e poi le si era seduta di fronte sopra a una panchina fatta di pietra ruvida, ma all’ombra. La donna era sola e a Silvia non andava proprio di mettersi a chiacchierare. Per evitare ogni accenno di discorso aveva pensato di rientrare. Si era alzata senza guardare di fronte a lei, ma la donna le aveva detto qualcosa.

– Stai tranquilla, prima o poi toccherà anche a te!

Silvia aveva avuto la sensazione di essere stata colpita da un pugnale dietro la schiena. Avrebbe voluto domandarle il perché di quella frase. Si era girata per porre la domanda ma la donna non era più seduta. Con lo sguardo la stava cercando senza esito. Era sicura che non potesse essere stata un’allucinazione. Aveva cercato ancora avvicinandosi alla stradina che conduceva alla chiesa e l’aveva vista: agitava qualcosa che teneva tra le mani per farsi aria e camminava con passo veloce facendo dondolare il vestito. 

Era tornata indietro e, ritornando al suo posto, si era domandata chi avesse invitato quella strana donna. Forse nessuno. La donna e l’uomo davanti a lei si tenevano per mano, la signora anziana non piangeva più e il bambino irrequieto pareva essersi calmato. Le ragazze dai capelli color mimosa, invece, continuavano a parlottare sottovoce espandendo la loro gioia di vivere tutt’intorno. Silvia si sentiva contagiata e sentiva di non avere più paura; mentre guardava Daniela ripensava alle parole di quella donna, ma non sentiva più quel peso opprimente che le schiacciava i pensieri. Quando la funzione  finì  gli invitati uscirono. Qualcuno stava distribuendo manciate di riso da tirare agli sposi non appena sarebbero usciti. Silvia ne aveva chiesto una manciata alle ragazze. Loro le avevano riempito le mani vuote con una manciata di chicchi candidi e appuntiti. Adesso si sentiva meglio: la strana sensazione di disagio stava sparendo, si stava dissolvendo, sfumando lentamente. Le ragazze, intanto, saltellavano nervosamente facendosi spazio tra le persone accalcate vicino al portale della chiesa. Le osservava sorridendo e pensava che sarebbe stato bello assomigliare a una di loro, essere come un fiore di mimosa in cui la forza risiede nella flessibilità, colorata di giallo come il sole, eterea e affascinante. 

Quando gli sposi finalmente uscirono dalla chiesa Silvia era felice. Le ragazze l’avevano addirittura invitata ad andare con loro al ristorante. Si sentiva come la protagonista sfortunata delle favole; quella che di solito attende che la sorte guardi dalla sua parte e, quando meno se lo aspetta, sbuca la fata da chissà dove con la bacchetta magica che fa apparire la carrozza, un vestito degno di una regina e la trasforma in una diva di Hollywood. Mancava solo il principe azzurro per completare il quadro, ma purtroppo nessuno si era presentato cavalcando un bianco destriero.

– Hai la macchina?- le aveva domandato la più carina e spigliata

– No, veramente sono venuta in bus – aveva risposto vergognandosi un pò

– Allora devi venire con noi – aveva fatto un’altra sorridendole.

Le aveva seguite fino alla macchina parcheggiata sotto gli alberi silenziosi. Era salita titubante, ma poi si era sentita quasi una di loro. Appoggiando una mano calda sul vetro del finestrino chiuso aveva osservato il piazzale di pietre scure ricoperto da un sottile e fitto strato bianco. Una donna minuta era uscita dalla piccola porta sul retro della chiesa. Gentilmente si era messa a spazzare il manto bianco depositato sul piazzale. Silvia la osservò con nostalgia fino a quando la strada non sembrò inghiottirla nel nulla.

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