Il matrimonio di Daniela (Parte prima)

Silvia era seduta vicino ad una signora in sovrappeso che sbuffava e si lamentava per l’afa; la donna cercava di farsi vento con un opuscolo evangelico, stropicciato ed ingiallito che, qualcun altro prima di lei, aveva abbandonato sulla stessa panca della chiesa. La musica solenne dell’organo l’aveva distratta e riportata a seguire la funzione, ma non riusciva ad essere contenta; contemplava gli affreschi sopra l’altare che si affacciavano tra una colonna di marmo e l’altra. La sua amica Daniela era bellissima: il lungo vestito pareva accarezzarla più che vestirla, i capelli morbidi e ondulati le scendevano sulle spalle e proseguivano lungo la schiena. Daniela sorrideva, ma lei non riusciva a farlo. Percepiva in fondo al suo cuore una sensazione di disagio: leggera ma costante, proprio come il dolore di una spina conficcata da qualche parte. Non sarebbe stata in grado di delimitare ad una sola parte del suo corpo oppure dei suoi pensieri quella strana emozione che stava, lentamente, crescendo d’intensità. Stava colmando ogni recondito angolo della sua mente, stava incanalandosi, insinuandosi sempre più nel profondo della sua anima. 

Silvia desiderava non trovarsi lì, forse per il troppo caldo in quel pomeriggio di luglio; forse per il disagio di essere rimasta l’unica a non essersi ancora sposata. Oppure per quella punta sottile d’invidia mischiata al senso di incalzante malinconia che, ogni giorno, l’accompagnava; magari per la paura di non avere più niente da raccontare alle amiche e né ai suoi genitori perennemente scontenti e delusi; o per per scordare le sterili storie d’amore che aveva vissuto. Soprattutto perché gli anni passavano senza aspettare nessuno. Probabilmente era per la disperata voglia di amare e essere amata da qualcuno  che le sue gambe, il suo cuore e la sua mente le stavano dicendo la stessa cosa: uscire. Avrebbe voluto alzarsi, salutare tutti e ritornarsene a casa, ma non poteva farlo. Per allentare la tensione che la costringeva ad assumere una posizione scomoda, aveva iniziato a guardarsi attorno. Davanti a lei era la figura di un uomo sulla cinquantina e quella di una donna bionda, una signora anziana che non riusciva a trattenere le lacrime, mentre un bambino, seduto in maniera scomposta, non riusciva a stare fermo e sembrava volesse tirare  calci all’aria. A lato vi erano alcune ragazze sui vent’anni che assomigliavano ai fiori di mimosa: erano come piccole sfere profumate e accese, delicate e effimere. Avevano l’eleganza nella semplicità e stavano sedute in disparte chiacchierando tra loro e sembravano emanare profumo con i loro respiri. Le loro gambe affusolate erano i perfetti steli per le loro corolle bionde e ricce. La luce che filtrava da una vetrata decorata a mosaico tagliava la navata della chiesa in due: l’altare e le prime file erano sommerse dentro a un chiarore quasi aulico, mentre tutto il resto era ricoperto da una luce fioca e irreale.

Aveva riportato lo sguardo verso Daniela che sorrideva a Giorgio davanti all’altare decorato da fiori candidi e gentili. Giorgio le aveva preso la mano destra per infilarle la fede all’anulare dopo essersi scambiati le promesse come da rito. Dopodiché sarebbe toccato alla sposa. La sensazione, forte e decisa ma che non possedeva ancora un nome, si stava facendo posto con prepotenza dentro al suo cuore il quale non riusciva più a contenerla né arginarla. Sentiva alcune gocce di sudore scendere lungo la schiena. La signora in sovrappeso si lamentava sottovoce del caldo; Silvia sperava che fosse proprio la calura a provocarle quel tumulto dentro l’anima. 

L’immagine intensa e vivida in cui Daniela e Giorgio uscivano dalla chiesa stretti l’uno all’altra come per proteggersi dalla pioggia di chicchi di riso, l’aveva colpita e travolta come un temporale in mezzo al mare e lei era ancora troppo lontana dalla riva per mettersi al riparo. Iniziava a chiedersi cosa sarebbe accaduto in futuro; iniziava ad avere paura di inaridirsi, di trasformarsi in una persona insensibile e piena di rancore verso la vita. Adesso i respiri diventavano più corti e serrati e si sentiva soffocare, ma non poteva lasciare il suo posto vuoto. Ma chi si sarebbe accorto della sua assenza? Probabilmente nessuno, eccetto forse la donna che le sedeva accanto.

Ancora un’immagine precisa e dai contorni ben delineati di Daniela girata di spalle per lanciare in aria il bouquet. Vedeva le altre ragazze e donne come lei prepararsi ad afferrarlo e avere la speranza di essere portate all’altare un giorno. Daniela contava senza fretta, per dare il tempo di sistemarsi, di prendere un respiro profondo, preparare le gambe all’eventuale salto, le braccia per alzarsi velocemente e le mani per avere lo scatto, la forza giusta per prendere quel simbolo di  promessa felicità. Quel pensiero le aveva dato il coraggio di prendere la borsetta e stringerla tra le mani, ma non si sentiva ancora tranquilla. 

La donna in sovrappeso l’aveva guardata storcendo il naso continuando a cercare refrigerio nello sventolarsi con l’opuscolo ingiallito e stropicciato. Silvia aveva ricambiato con un sorriso sforzato. Scusandosi si era alzata. Si era incamminata per la piccola e affollata navata della chiesa temendo di disturbare la funzione. Nessuno si era alzato o si era mosso e nessuno si era accorto del lieve passo che echeggiava.

4 pensieri riguardo “Il matrimonio di Daniela (Parte prima)

  1. A volte le aspettative degli altri pesano più delle nostre.

    Non ho capito bene se alla fine di questo capitolo la protagonista decide di andarsene.

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